Màe Ukémi (caduta frontale diretta) viene utilizzata molto raramente: è una forma antica che non rispecchia le caratteristiche di totale salvaguardia precedentemente esposte., non si presta quindi ad essere utilizzata su proiezione. Viene conservata perché presente in alcuni kata e può essere impiegata quando non vi è spazio sufficiente per fare un rotolamento. Si esegue in due gradi di difficoltà:
mae-ukemi 1°tempo: partenza da inginocchiati
mae-ukemi 2° tempo: partenza da in piedi
NON va allenata a lungo poiché il contraccolpo che provoca può risultare nocivo.
Màe Mawàri Tzémpu Kàiten Ukémi (caduta rotolata in avanti) è invece quella di quotidiano utilizzo e può essere effettuata nelle versioni migi (destra) ed hidari (sinistra). Si pratica in quattro gradi di difficoltà:
mae-mawari-ukemi 1° tempo: partenza con appoggio su due mani
mae-mawari-ukemi 2°tempo: partenza con appoggio su una mano
mae-mawari-ukemi 3°tempo: partenza su una mano, in movimento
mae-mawari-ukemi 4° tempo: partenza saltando un ostacolo
Si rotola su un cerchio formato successivamente da mano, gomito, spalla, diagonale della schiena e fianco opposto; questo cerchio diviene sempre più ampio man mano che aumenta la difficoltà della caduta.
Questa caduta è molto frequente nei combattimenti; nel filmato che segue ci sono molti esempi, uno dei quali, al minuto 01:20 è chiaro:
La caduta indietro si chiama ushíro (indietro)-ukémi e viene praticata in tre gradi di difficoltà:
ushiro-ukemi 1° tempo: partenza da seduti ushiro-ukemi 2°tempo: partenza da accosciati ushiro-ukemi 3°tempo: partenza da posizione eretta
Il mento deve essere appoggiato allo sterno in modo da rendere la schiena abbastanza curva per poter rotolare e va mantenuto in questa posizione fino all’ultimo istante, per evitare di urtare con la nuca il suolo al termine del rotolamento. Le braccia battono sul tatami con un apertura di circa 45°. Un movimento abbastanza elastico da farle subito rimbalzare; le gambe seguono il movimento alzandosi fin quasi alla verticale.
Adesso vedremo come si svolge la caduta:
Analizziamo alcuni momenti di gara, in cui uno dei due judoka subisce una tecnica e cade con un ushìro ukémi.
Al minuto 01:28, il judoka con judoji blu anticipa l’attacco del bianco, eseguendo un Ko Uchi Gari, che provoca la caduta del bianco in Ushìro Ukémi
La caduta laterale si chiama yoko-ukemi e può essere effettuata nelle forme migi e hidari. Anch’essa viene praticata in tre gradi di difficoltà:
yòko-ukemi 1° tempo: partenza da seduti
yòko-ukemi 2° tempo: partenza da accovacciati
yòko-ukemi 3° tempo:partenza da in piedi
La caduta avviene diagonalmente, con una inclinazione di circa 45°, appoggiando a terra solo una parte della schiena. Questa caduta può avvenire a destra (mìgi), oppure a sinistra (hìdari).
Ecco la caduta eseguita, nelle varie fasi.
Durante il combattimento alla caduta Yòko Ukémi segue il punteggio del Wazàri, se il judoka cade di lato, senza rolling sulla schiena, altrimenti il punteggio è Ippòn. Al secondo 0:20 del filmato che segue, parte un’azione al termine della quale si puó notare questa caduta eseguita in combattimento.
Nel judo come prima cosa si impara a cadere per non farsi male: la caduta (in giapponese ukémi) é la nostra prima difesa, come ci hanno insegnato i Maestri Sauro, Maurizio e Natale.
Nella sua opera Kodokan Judo il Maestro Jigoro Kano scrive:
before practicing throwing techniques or engaging in randori, it is imperative to master ukemi, the technique of falling safely.
“prima di praticare le tecniche di proiezione o scontrarsi nel randori, è obbligatorio imparare le ukemi, ovvero le tecniche di caduta in sicurezza” (Jigoro Kano, Kodokan Judo (New York, Kodansha International, 1994 pagina 45)
Protezione della testa. Ovviamente è pericoloso urtare con violenza la testa a terra; i conseguenti danni alla testa ed al collo potrebbero anche essere gravi. Per questo, in tutte le cadute la testa va sempre mantenuta sollevata dal terreno; vedremo come in alcune cadute il fatto di mantenere le gambe sollevate da terra aiuta a proteggere il cranio, mentre in altre cadute la testa vada mantenuta spostata verso il lato, in modo da mantenerla all’esterno di quel cerchio immaginario in cui viene effettuata la caduta.
L’uso della battuta della mano. Al termine della caduta il bravo judoka batte sempre la mano. Perché ? Quando un pesante oggetto cade a terra vengono provocate molte vibrazioni, le quali si ripetono sia per terra che nel corpo caduto; questo succede anche quando il judoka cade a terra, quindi neutralizza le vibrazioni emesse tramite la battuta della mano sul Tatami, scaricando l’energia provocata dalla caduta.
Non ci credete ? Provate a saltare sui talloni diverse volte !
Nel libro PERCHE’ ACCADE CIO’ CHE ACCADE (BUR – 2013), l’autore Andrea Frova, docente di Fisica generale all’università di Roma e genitore di due judoiste, da una interessante spiegazione scientifica:
221. LA MANATA DEL JUDOKA
Perché i lottatori di judo o di altri sport consimili, cadendo, battono con forza una mano contro l’impiantito? L’autore di questo libro ha due figlie che, nel judo, hanno conseguito il diploma di cintura nera. Le ha viste cadere mille volte e ha potuto studiare il loro modo di atterrare senza farsi troppo male. Del resto, il judo presenta, ancor più di altri sport, una vera dovizia di problemi di meccanica. A proposito della manata sul tappeto, ci sono almeno quattro buoni argomenti a suo favore: primo, la mano agisce da molla e frena la rapidità dell’urto, quindi l’intensità delle forze impulsive (vedere il quesito 163). Secondo, aumenta la superficie di contatto del corpo col pavimento, riducendo la pressione (si supponga di cadere sullo spigolo di un’anca, per esempio, o su una costola). Terzo, permette in parte di “guidare” la caduta, aiutando il corpo a ruotare e a urtar terra con le parti meno sfavorevoli. Il quarto è un argomento psicologico: concentrarsi su tale gesto permette di mantenere un ruolo attivo e sottovalutare gli aspetti sfavorevoli del colpo subito. Rimane da augurarsi, ora, che i maestri giapponesi non trovino queste motivazioni del tutto inappropriate al loro modo di concepire il judo.